La mentalità vincente nel tennis: realtà o mito?

Nel mondo del tennis si parla spesso di “mentalità vincente”. C’è chi la associa a tratti maschili, chi la vede come una fiducia incrollabile in se stessi. Altri ancora la interpretano come una questione di carattere, legata quindi a doti innate e non allenabili. C’è anche chi crede che una condizione sociale svantaggiata possa generare quella “fame di vincere” tipica dei grandi campioni.

Tutte queste spiegazioni tendono a costruire un’idea rigida, quasi mistica, della mentalità vincente. In questo modo, il tennista rischia di sentirsi prigioniero delle sue origini: se non corrispondono a queste teorie, allora – si pensa – non potrà mai diventare un vincente.

La mia esperienza con atleti di altissimo livello, inclusi 13 medagliati olimpici, e quanto emerge dalla psicologia dello sport, raccontano però una realtà diversa: più concreta, più allenabile e alla portata di chiunque voglia migliorarsi. In questo articolo voglio condividere alcune indicazioni pratiche che ogni tennista può seguire per migliorare le proprie prestazioni, naturalmente in relazione al proprio livello tecnico, condizione fisica e stile di gioco.

1. Non avere aspettative, concentrati sul fare del tuo meglio

Tutti vogliono vincere, ma questa idea deve restare sullo sfondo. L’unica cosa davvero utile è concentrarsi sul presente: ogni colpo, ogni scambio. Il risultato è fuori dal nostro controllo, ma l’impegno no. Quindi il focus deve essere solo su ciò che puoi fare in quel momento. Alla fine dello scambio, vedrai se il tuo massimo è bastato o se l’avversario è stato più bravo.

2. Sii paziente: i momenti difficili arriveranno

Il tennis è uno sport dove vince chi sbaglia meno. I momenti negativi sono parte inevitabile di ogni match. Illudersi di evitarli è inutile. Quando arrivano, non bisogna arrabbiarsi o scoraggiarsi, ma accettarli e continuare a giocare con attenzione. La pazienza è una forma di forza mentale.

3. Non lasciare che il punteggio controlli le tue emozioni

Molti giocatori, soprattutto i meno esperti, si esaltano dopo un punto vinto e si abbattono dopo uno perso. Questo crea instabilità emotiva e comportamentale. In campo bisogna essere il primo tifoso di se stessi, non come quei fan che applaudono solo quando si vince e fischiano alla prima difficoltà.

4. Gestisci lo stress e accetta le tue paure

Spesso i giocatori, per non affrontare le proprie paure, cercano scuse: “non sentivo i colpi”, “le gambe erano pesanti”, “l’altro ha giocato la partita della vita”. Le ragazze, in particolare, possono essere più soggette a oscillazioni emotive in base ai punti vinti o persi. Ma la vera forza sta nell’accettare la paura e imparare a conviverci. Questa è una delle differenze principali tra i campioni e gli altri.

5. Pensa al gioco

Indipendentemente dal tuo livello, devi avere un’idea di come vuoi giocare. Anche una strategia semplice, come “corri e rimandala di là”, è meglio che non pensare affatto. Questo vale soprattutto al servizio: “Come posso mettere in difficoltà l’avversario?” “Cosa ha funzionato nei punti che ho vinto?”. Serve un pensiero tecnico, ma anche uno motivazionale. Entrambi sono fondamentali.

In conclusione, la mentalità vincente non è una dote magica o un privilegio di pochi. È un insieme di atteggiamenti, pensieri e comportamenti che si possono allenare. Ogni tennista ha la possibilità di svilupparla, a partire da una cosa semplice: la consapevolezza di ciò che può controllare.

La mente vincente di Tadej Pogačar: talento, calma e strategia

Tadej Pogačar, 25 anni, ha conquistato oggi la sua vittoria numero 100 al Tour de France, un traguardo straordinario che lo consacra definitivamente tra i grandi del ciclismo. Più volte vincitore del Tour è ormai una figura di riferimento nel panorama internazionale, non solo per le sue eccezionali doti fisiche, ma soprattutto per la mentalità che lo distingue.

La sua carriera è costellata di momenti chiave in cui la forza mentale ha fatto la differenza. Come nella penultima tappa del Tour 2020, quando – in ritardo rispetto a Primož Roglič – affrontò la cronometro decisiva con una calma impressionante e ribaltò le sorti della corsa con una prestazione epica. Quella vittoria non fu solo atletica, ma psicologica: concentrazione, fiducia e sangue freddo sotto pressione.

Oggi, il ruolo di favorito non è più un’eccezione ma la norma. “Ogni gara sono considerato il favorito. Ho imparato a vivere così”, dice Pogačar con naturalezza. Questa pressione, che per molti potrebbe diventare un fardello, è per lui parte integrante del mestiere, interiorizzata e gestita con lucidità. La sua strategia mentale è chiara: non lasciarsi consumare dalle aspettative, affrontare le corse giorno per giorno, e risparmiare energie fisiche e mentali per i momenti davvero decisivi.

La maturità psicologica di Pogačar è evidente. Mantiene sempre un atteggiamento razionale, centrato, senza farsi travolgere dal caos mediatico o dai pronostici. Anche quando viene criticato – ad esempio per la presunta fragilità della sua squadra – risponde con tranquillità, evitando polemiche e rafforzando la fiducia nei suoi compagni. Questo equilibrio mentale è uno dei pilastri dei suoi successi.

Il suo approccio mentale può essere definito determinato, disciplinato e resiliente. Si allena con costanza, si prepara con cura e, soprattutto, impara sempre. Dopo ogni gara analizza le proprie prestazioni, individua le aree da migliorare e modifica il proprio allenamento. Questo atteggiamento di crescita continua gli permette di evolversi costantemente e di puntare sempre più in alto.

Inoltre, Pogačar trasmette serenità anche nei momenti più complessi. Scherza con i giornalisti, minimizza le difficoltà del percorso, non mostra mai segni di nervosismo, nemmeno alla vigilia di un Grand Tour. Questo non significa superficialità, ma una profonda sicurezza interiore, costruita su anni di lavoro e consapevolezza.

In sintesi, il successo di Tadej Pogačar è il risultato di un mix raro tra talento naturale e forza mentale. Determinazione, compostezza, fiducia, intelligenza strategica e umiltà nell’imparare: sono questi gli ingredienti della sua grandezza. E a soli 25 anni, con 100 vittorie già alle spalle, il meglio deve ancora venire.

Cos’è lo sport?

Spesso chi non segue lo sport  agonistico e non ne capisce il valore chiede cosa spinge questi/e giovani a dedicare la loro vita a questa attività. Per iniziare a capire cosa determini la decisione di intraprendere la carriera sportiva, credo si debba intanto sapere che lo sport si declina al singolare ma in realtà bisognerebbe esprimersi al plurale e parlare di sports.

Gli sports infatti sono molto diversi tra loro e soddisfano caratteristiche psicologiche e fisiche molto diverse tra loro. Solo per festare a quanto è successo in questi giorni. potremmo parlare della partita di calcio femminile fra Italia e Portogallo e del bellissimo goal di Cristiana Girelli, del passaggio al turno successivo di Sinner che perdeva per due set a zero contro il suo avversario che si è dovuto ritirare per un infortunio grave, della prima donna che è scesa sotto i 14 minuti nei 5mila metri, Beatrice Chebet, del Tour de France appena iniziato e del ritiro di Filippo Ganna dopo pochi km della prima tappa per caduta, e ancora dei mondiali nuoto, degli europei di lotta e di quelli di tennis tavolo che sono programmati in questo periodo. Ci sono sport dove su un mezzo si corre oltre a 300km all’ora ma ve ne sono altri che si fanno praticamente stando fermi e immobili.

Quindi non so proprio come si possa definire lo sport, stando a tutte queste sue manifestazioni così diverse tra loro. Sembra però che ciò che le accomuna sono le gare, il competere di questi giovani gli uni contro gli altri, ognuno nel suo sport. Questo concetto è ben rappresentato dal motto olimpico “Citius, Altius, Fortius, Communiter” (Più veloce, Più alto, Più Forte, Insieme). Si dice che l’importante è partecipare, ognuno al suo meglio. Lo sport o gli sports rappresentano pertanto una delle forme di autorealizzazone che noi esseri umani scegliamo per conoscerci, svilupparci, perfezionarci e vivere larga parte della nostra vita sociale.

Questo sono gli atleti/e.

 

 

Ed Whitlock – Biografia e filosofia della corsa

Ho letto un articolo su Ed Whitlock prima persona over70 (a 72 anni) a correre la maratona sotto le tre ore – 2:59:10 – e a 85 anni in 3:56:34: Lepers R, Cattagni T. Age-related decline in endurance running performance – an example of a multiple World records holder. Appl Physiol Nutr Metab. 2018 Jan;43(1):98-100

Ne ho voluto scrivere una breve biografia per evidenziarne il metodo di allenamento e la mentalità.

Ed Whitlock (1931–2017) è stato un maratoneta canadese noto per aver riscritto le regole dell’età nella corsa. Nato in Inghilterra e trasferitosi in Canada, è diventato il primo uomo sopra i 70 anni a correre una maratona in meno di 3 ore: a 72 anni con il tempo di 2:59:10. A 85 anni, corse in 3:56:34, ancora un record mondiale di categoria.

Stile di allenamento

Il suo metodo era sorprendentemente semplice e “vecchia scuola”. Ogni giorno correva per ore, da solo, attorno a un piccolo cimitero vicino casa, senza musica, senza GPS, senza coaching. Non faceva lavori di forza o esercizi di cross-training. Le sue scarpe erano vecchie di anni, e portava spesso lo stesso abbigliamento logoro.

Approccio mentale

Il segreto di Whitlock non era tanto fisico quanto mentale:

  • Semplicità - Non complicava nulla. Per lui, la corsa era un gesto naturale, da ripetere ogni giorno, con pazienza.
  • Costanza - Credeva nel valore della routine. “Keep showing up” (continua a presentarti), era il suo non-detto.
  • Umiltà - Non si considerava un “atleta serio” e non si prendeva mai troppo sul serio.
  • Solitudine attiva - Trovava conforto nel correre da solo, senza distrazioni, come forma di meditazione.
  • Accettazione del dolore - Non evitava la fatica. Sapeva che faceva parte del processo e l’accoglieva con tranquillità.

Whitlock è diventato una vera icona per chi crede che la disciplina, la semplicità e l’amore per la corsa contino più dell’età o della tecnologia. Un esempio di come la forza mentale possa superare ogni statistica.

Caldo e prestazione: cosa devono sapere allenatori e atleti

Allenarsi o gareggiare sotto il sole estivo è una sfida che va oltre la fatica fisica. Il caldo ha un impatto reale e profondo sia sul corpo che sulla mente, e conoscerne gli effetti può fare la differenza tra una prestazione gestita bene e un crollo anticipato.

Cosa succede al corpo con il caldo

Quando le temperature salgono, il corpo si difende sudando. Ma con il sudore si perdono acqua e sali minerali, fondamentali per far funzionare muscoli e sistema nervoso. Se non si reintegra a dovere, la disidratazione può causare crampi, cali di forza, rallentamenti e, nei casi peggiori, colpi di calore.

Anche il cuore lavora di più: deve pompare sangue verso la pelle per raffreddare il corpo, sottraendolo ai muscoli. Di conseguenza, anche esercizi abituali sembrano più pesanti e la fatica arriva prima.

Cosa succede alla mente

Il caldo non colpisce solo il fisico. Molti atleti riportano una maggiore irritabilità, difficoltà a concentrarsi, perdita di lucidità tattica e decisionale. Lo sforzo viene percepito come più duro del normale e questo può minare la motivazione e la fiducia in sé stessi, soprattutto in contesti competitivi.

Anche la gestione dello stress ne risente: mantenere la calma, restare focalizzati e recuperare dopo uno sforzo importante diventa più difficile quando il cervello è affaticato dal calore.

Cosa fare in pratica

Per gestire meglio il caldo, servono strategie chiare e condivise tra atleta e allenatore:

  • Acclimatamento: Abituarsi gradualmente ad allenarsi in condizioni calde, partendo da carichi leggeri e aumentandoli nel tempo.
  • Idratazione costante: Bere prima, durante e dopo l’attività. Non aspettare di avere sete.
  • Raffreddamento attivo: Usare panni freddi, bagni ghiacciati o giubbotti refrigeranti durante le pause.
  • Pianificazione intelligente: Evitare le ore più calde della giornata per allenamenti intensi, se possibile.
  • Allenamento mentale: Preparare l’atleta ad affrontare la fatica e il disagio del caldo con tecniche di concentrazione, respirazione e self-talk positivo.

Il caldo è una variabile che va gestita, non subita. Allenatori e atleti devono lavorare insieme per riconoscere i segnali di fatica e prevenire cali di performance o rischi per la salute. Con consapevolezza, preparazione e strategie mirate, si può continuare a lavorare al meglio… anche sotto il sole.

C’è poco da essere ottimisti sulla diffusione dello sport in Italia

Come si fa a essere contenti, come oggi rappresentanti dello sport italiano, che in circa 30 anni i praticanti attività fisica e sport in modo continuativo e saltuario sono aumentati del 10%?

La situazione è piuttosto la seguente:

“In ogni età e fase della vita, svolgere attività fisica con regolarità significa fare una scelta a favore della propria salute. Ma quanto viene praticato in Italia e nel resto d’Europa? Per rispondere a questa domanda la redazione di Dati alla mano, un podcast realizzato dall’Istat nell’ambito delle attività di promozione della cultura statistica, ha intervistato Laura Iannucci, ricercatrice Istat esperta della materia.

Quali sono le abitudini degli adulti nella pratica dell’attività fisica in Italia e in Europa?

I dati dell’ultima Indagine Europea sulla Salute (EHIS), riferiti al 2019, collocano l’Italia al 21° posto – su 27 paesi –  nella graduatoria delle persone che praticano attività fisica nel tempo libero: solo il 26,7% pratica attività fisica di tipo aerobico (esercizio che comporta un leggero aumento della frequenza respiratoria o cardiaca) almeno 1 volta a settimana, mentre tra la popolazione europea adulta la percentuale sale al 44,3%. I dati per l’Italia sono ancora più bassi se si guarda all’attività fisica di potenziamento muscolare (esercizio finalizzato a potenziare l’apparato muscolare): la pratica solo il 14,4% di tutta la popolazione adulta rispetto al 26,3% della popolazione adulta europea”.

Disturbi muscoloscheletrici e uso eccessivo dello smartphone: la sindrome del text neck

Piruta, J., & Kułak, W. (2025). Physiotherapy in Text Neck Syndrome: A Scoping Review of Current Evidence and Future Directions. Journal of Clinical Medicine, 14(4), 1386.

Contesto: I disturbi muscoloscheletrici associati all’uso eccessivo dello smartphone rappresentano un importante problema di salute. La sindrome del “text neck” è uno di questi disturbi, e colpisce un numero crescente di persone in tutto il mondo, appartenenti a diverse fasce d’età. Il fenomeno del “text neck” può manifestarsi in soggetti che assumono frequentemente e per lunghi periodi una postura con collo e testa flessi in avanti mentre guardano gli schermi dei dispositivi elettronici mobili. Vengono utilizzati diversi metodi terapeutici nel trattamento della sindrome del “text neck”. Tuttavia, non esiste un consenso univoco sulla riabilitazione di tale condizione, il che rappresenta una sfida per i fisioterapisti.

Obiettivo: Lo scopo di questo studio è analizzare il fenomeno del “text neck”, con particolare attenzione ai recenti studi scientifici sulla riabilitazione della sindrome. È stata condotta una scoping review per determinare i metodi di fisioterapia attualmente utilizzati nel trattamento dei soggetti affetti da “text neck”, valutarne l’impatto sulla riduzione dei sintomi e individuare le lacune e i limiti esistenti nella letteratura attuale sulla riabilitazione della sindrome.

Metodo: È stata condotta una scoping review sulla base delle banche dati elettroniche PubMed, ResearchGate, Physiotherapy Evidence Database (PEDro) e Cochrane Library. Le ricerche sono state effettuate fino al 1° dicembre 2024. I criteri di inclusione comprendevano studi che indagavano interventi fisioterapici su soggetti affetti da “text neck”, pubblicati tra il 2018 e il 2024 e redatti in lingua inglese.

Risultati: Sono stati analizzati in totale quindici articoli, focalizzati su diversi metodi utilizzati nella riabilitazione del “text neck”, tra cui esercizi di correzione posturale, esercizi di stabilizzazione, esercizi di rafforzamento e stretching, Pilates, PNF (Facilitazione Neuromuscolare Propriocettiva), kinesio taping, terapia Bowen e terapia manuale. Quasi tutti gli studi sono stati condotti su popolazioni adulte (93%), con la maggior parte realizzati in India (60%).

Conclusioni: In sintesi, tutti gli studi suggeriscono che interventi fisioterapici appropriati possono fornire benefici significativi, tra cui riduzione del dolore, correzione posturale e miglioramento dell’ampiezza di movimento della colonna cervicale. I migliori risultati sembrano essere ottenuti combinando diverse tecniche terapeutiche. Tuttavia, sono necessarie ulteriori ricerche di alta qualità per rafforzare le evidenze e fornire raccomandazioni affidabili per la pratica clinica. Inoltre, esistono poche ricerche sull’utilizzo della fisioterapia per il “text neck” nella popolazione pediatrica, il che rappresenta un potenziale ambito per futuri studi.

Pochi insegnanti e allenatori sono formati a educare al pensiero critico

Tutti parlano dell’importanza di educare al pensiero critico e alla gestione delle emozioni, ma nella pratica, pochi insegnanti o allenatori sono davvero formati, consapevoli e operativi su questi aspetti. Ecco alcune considerazioni su questo divario:

Nella scuola - Una meta-analisi del 2021 ha esaminato 43 studi (~3.000 insegnanti da pre-K a 12° grado) su programmi scolastici di Social and Emotional Learning (SEL). Obiettivo: migliorare il benessere dei docenti, ridurre lo stress, prevenire il burnout. Gli interventi SEL hanno avuto un impatto significativo su: autoregolazione emotiva e strategie di coping, riduzione dello stress professionale e miglior lavoro in classe e benessere personale e resilienza degli insegnanti.

  • Formazione insufficiente: La maggior parte dei docenti riceve una preparazione centrata sui contenuti disciplinari, non sulla crescita socio-emotiva degli studenti.
  • Tempo e programmi stretti - Con la pressione dei programmi, le prove Invalsi, le classi numerose, gli insegnanti faticano a ritagliare spazio per l’educazione emotiva.
  • Pochi strumenti concreti - Anche quelli motivati spesso non hanno risorse pratiche per integrare lo sviluppo del pensiero e delle emozioni nel quotidiano.

Nello sport - Una meta-analisi del 2018 su 22 studi (3.431 atleti competitivi) ha trovato una correlazione debole ma significativa tra intelligenza emotiva  e prestazione sportiva. Quando è invece noto che è connessa alla gestione dello stress, a un uso efficace di abilità psicologiche e a performance atletiche

  • Cultura del risultato - Troppi allenatori, anche a livello giovanile, sono ancora focalizzati sulla performance, non sullo sviluppo personale.
  • Modelli vecchi - Si tramanda un approccio autoritario, dove emozioni e riflessione vengono viste come debolezza o distrazione.
  • Eccezioni esistono - Ci sono allenatori (soprattutto nei settori giovanili più evoluti) che usano lo sport per insegnare autocontrollo, consapevolezza, cooperazione.

16° Congresso Mondiale di Psicologia dello Sport

Questo Blog Promuove

International Society of Sport Psychology 16th World Congress

From December 8 to 12, 2025, the 16th ISSP World Congress will take place,

organized by the Hong Kong Sports Institute (HKSI) and sponsored by the Shine Tak Foundation.

Theme: “60 Years of ISSP: The Global Past, Present, and Future of Science, Practice, and Performance in Sport Psychology.”

Join us for this opportunity to exchange knowledge, innovations, and experiences that will shape the future of Sport Psychology worldwide!

L’allenatore empatico

Il ruolo dell’empatia da parte dell’allenatore è centrale in una relazione efficace e costruttiva con gli atleti. Tuttavia, è importante chiarire che essere empatici non significa assecondare o compiacere, ma piuttosto comprendere profondamente il punto di vista dell’atleta, i suoi stati d’animo, le sue difficoltà, le sue motivazioni e anche le sue resistenze. L’empatia è la capacità di “mettersi nei panni dell’altro”, ma mantenendo la propria posizione di guida.

Cosa comporta l’empatia per l’allenatore:

  • Ascolto attivo: L’allenatore empatico sa ascoltare senza giudizio. Capisce perché un atleta rifiuta un esercizio o si mostra demotivato, andando oltre la semplice apparenza.
  • Riconoscere i bisogni e le emozioni: Senza cedere a lamentele o scuse, l’allenatore empatico sa riconoscere quando dietro un rifiuto c’è stanchezza mentale, mancanza di fiducia, insicurezza o paura di fallire.
  • Personalizzazione dell’insegnamento: Saper leggere l’atleta consente di adattare il modo in cui si propone un esercizio, si corregge un errore o si stimola la motivazione. L’obiettivo è far percepire all’atleta che l’allenamento, anche se difficile o sgradito, è funzionale al raggiungimento dei suoi stessi obiettivi.
  • Sostenere senza deresponsabilizzare: Un allenatore empatico non deresponsabilizza l’atleta, ma lo accompagna a capire l’utilità anche di ciò che non gli piace. L’empatia permette di creare un ponte tra la fatica presente e il risultato desiderato, facendo leva sugli obiettivi personali dell’atleta.
  • Costruzione della fiducia: Un atleta che si sente compreso è più disposto a fidarsi dell’allenatore, anche quando le richieste sono difficili. La fiducia nasce proprio da quel “ti capisco, ma so cosa ti serve”.

L’empatia nell’allenatore è una competenza relazionale chiave che permette di motivare senza manipolare, guidare senza imporre, correggere senza demoralizzare. Non si tratta di evitare i conflitti o di rendere tutto piacevole, ma di rendere significativo anche ciò che non è immediatamente gratificante, mostrando agli atleti il legame tra ciò che fanno oggi e ciò che vogliono diventare domani.